EDUCARE CIOÈ TESTIMONIARE. I «GUERRIERI» DEL SILENZIO E LO STRAORDINARIO ORDINARIO

07/02/2024


Qualche settimana fa abbiamo ricordato la «Giornata mondiale dell’educazione». Io ne riparlo dopo perché se volessimo essere onesti dovremmo ricordarla 365 (366) giorni all’anno perché questo nostro mondo è orfano di tale patrocinio. Inoltre tenterei un binomio per rendere più innervata l’esperienza. Dobbiamo solo educare oppure dobbiamo attaccarci dietro anche il verbo testimoniare? E per educare testimoniando dobbiamo accontentarci di parole meno stanche, come ci dice Chandra Livia Candiani «che sopportano i venerdì come lunedì più stanchi», eppure parole cariche di esempi veri, appassionanti? Fare della vita una linea retta non è un progetto. I veri progetti hanno curve, bassorilievi, sottopassi, penombre, cime e caverne. Vogliamo essere portatori di messaggi scritti sulla pelle o scarabocchiati da inchiostri computerizzati? Se educare volesse dire rischiare quotidianamente, sarebbe troppo impegnativo?

Perché ci piaccia o no, il nostro corpo rinasce decine di volte, se viene preso intero come ci dicono i cattolici, cioè anima e corpo. Nasciamo già imparati e poi c’è l’infanzia, l’adolescenza, la maternità, i dolori, le malattie, le risurrezioni… Io, a 94 anni sto capendo cos’è l’educazione, rileggendo con pazienza la mia vita. Ho frequentato università, ho seguito corsi di psicanalisi, ho voluto piantare il naso in tante esperienze, ma sono stati i disabili, il quartiere di Primavalle, il Parco Lambro, il Madagascar, la rilettura della mia adolescenza un po’ sgangherata vissuta in collegio, la morte di mio padre giovanissimo, il frontale nell’incidente contro la pattuglia della Polizia che mi ha lasciato sull’asfalto più di due ore con i denti per strada e il braccio sinistro spezzato a metà perché dovevano capire chi era il terrorista che portavo in macchina… Solo questo mi ha fatto capire che la vita e la morte possono diventare amiche e caricare di emozioni, di silenzi profetici, di misteri le nostre giornate. 

L’educazione, quella vera ha anche bisogno di parole, di formule, di teoremi, ma lasciatemi dire che solo il silenzio, la rilettura scarna e il coraggio di soffocare le formule ci aiutano a ritrovare le radici dei nostri giorni. Il silenzio vero lo dobbiamo mangiare, annunciare, respirare come essenza di quel me che si prepara ad accoglierlo perché ha capito che solo dopo sapremo interpretare il carattere avventuroso delle cose quotidiane. Da qui nasce l’educazione testimoniale; dal capire quanto sono straordinarie le cose ordinarie. Quello che uccide l’uomo è la monotonia e la routine. A salvarlo è la creatività, la capacità di trasformare in avventura le cose che accadono. Ma come farlo capire ai nostri giovani d’oggi che stanno usando la morte violenta per dare significati alla loro vita? È possibile liberarsi dai disagi sempre più imprevedibili sgozzando a vanvera chi trovi per strada? Se l’educazione riuscisse a far capire ai nostri adolescenti che uccidere significa ammazzare la parte migliore di noi stessi credo che avremmo aperto un lasciapassare vitale. 

Torniamo ai verbi educare-testimoniare, seminare emozioni, lanciare aquiloni, entusiasmare. È proprio vero, tornando a Candiani che le parole senza sponda sono un pericolo e che seminare giardini, spezza i cuori? Se l’educazione volesse dire il contrario perché le parole «libertà» possono far guarire e i giardini ritrovati ci permettono di riscattarci dal primo giardino perduto? Forse i salti che faccio sono troppo lunghi però seminare testimonianze come fossero frutti della terra sarebbe proprio eretico? Siamo in tempi speciali e ieri è già un trapassato remoto, anche lo stesso Freud vorrei che lo lasciassimo in pace. Mi pare molto indovinata la frase di G. Michael Hopf: «I tempi difficili creano uomini forti; gli uomini forti creano tempi facili. I tempi facili creano uomini deboli, gli uomini deboli creano tempi difficili». 

Arrivati ai nostri giorni anziché parlare di cose difficili o facili è opportuno che cresciamo Guerrieri (con la G. maiuscola per non confonderci) e non parassiti. L’educazione sarà capace di questo miracolo? Il silenzio, come testimonianza più trascurata ci aiuterà a oltrepassare anche i nostri piccoli giardini? Galimberti ci dice che solo allora la specie umana è ciò che ci accomuna. Perché non è tanto la nostra piccola patria che dobbiamo riscoprire, quanto la terra dentro la quale viviamo. Pensare la terra di oggi è come pensare al cielo di ieri? E immergersi nell’ordinario è come scoprire le formule lacaniane? Perché a proposito di test, di tesi educative, Martin Luther King dice che «ognuno può essere grande perché può servire. E per servire non è necessario avere una laurea». Con i tempi che corrono è possibile attaccare a educare e testimoniare anche servire? L’educazione può essere anche «un servizio», Antoine de Saint-Exupéry dice: «Ecco il mio segreto molto semplice: è soltanto con il cuore che si riesce a vedere correttamente». Se fosse così, dovrei dire che ho iniziato con due verbi e finisco con Tre: Educare, Testimoniare, Servire!

Don Antonio Mazzi – su Buone Notizie- Corriere della Sera – 06/02/2024