Questo è un tempo nel quale pare che i nostri giovani, soprattutto se adolescenti, siano quasi tutti più o meno “svalvolati”. I giornali a gara per raccontare fatti più piccanti e dolorosi escono quasi ogni giorno con allarmanti statistiche e percentuali tra tossici, fragili, dissociati, disagiati e violenti.
Io che vivo da un’eternità con i ragazzi portatori di disagi pesanti, non riesco neanche giocando contro me stesso, ad essere così pessimista. Non voglio raccontarvi il solito ritornello del Covid o tanto meno dei telefonini e dei network. Voglio invece sbattere sul muso di noi adulti l’incapacità di essere adulti. Siamo gente che ha una certa età ma che non ha saputo leggere la vita secondo l’età che si portava addosso.
Mi domandavo giorni fa davanti ad uno degli infiniti casi che incontro se noi adulti siamo incapaci di interpretare i nostri giovani perché abbiamo vissuto male la nostra adolescenza.
Tra qualche anno, credo che i nostri ragazzi, se li aiuteremo a vivere da adolescenti saranno i primi adulti capaci di interpretare questo interessante periodo. Nel frattempo, le quattro righe che scrivo in questo settimanale voglio che siamo orientate a riflettere e a domandarci su cosa c’è di meraviglioso, sottolineo meraviglioso, in questo cosiddetto periodo che gli specialisti catalogano tra i 10 e i 24 anni e che io mi guardo bene di catalogare perché quello che sento, vedo e provo in campo aperto e non dietro la scrivania è ben diverso ma soprattutto non catalogabile.
Perché se c’è un periodo che è meglio non caricare di definizioni è proprio l’adolescenza. Non voglio farmi prendere in giro da nessuno ma credo che i luminari del secolo scorso siano tutti sorpassati perché è bastato qualche decennio per rimetterci tutti umilmente in ascolto.
E fatemi dire che il primo diventato vecchio è Sigmund Freud, neurologo, neurologo e filosofo austriaco, fondatore della psicoanalisi. Inoltre, domandatevi perché molti specialisti siano diventati tutti biblisti. L’adolescenza di Freud non va più di moda, mentre Mosè e Ulisse te li vedi dovunque.
Il Dio biblico non è certamente il Dio delle ipotesi e delle formule, ma della parola. E un po’ tutti stiamo capendo l’urgente bisogno di tornare a quelle parole che allora hanno fatto il mondo e che ora sarebbe importante che lo rifacessero.
Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista, ci dice che “l’azione della parola non coarta la porta propositiva della vita, non la recinta, non la opprime, ma la potenzia massimamente... È la luce della parola ad allontanare l’evento del mondo della notte senza mondo... Il suo gesto si chiarisce con un atto di pura donazione”.
È possibile che queste tre parole: donazione, mondo e parola possano sostituire tanti teoremi che la scienza psicoanalitica ci ha raccontato?
Don Antonio Mazzi – Oggi n.35