Mi sono sentito con gli occhi pieni di lacrime e con le mani tremanti quando ho letto la storia di Paderno Dugnano. Anch’io vent’anni fa ho avuto per un periodo post carcere, in comunità, una ragazza che aveva ucciso il fratellino, poi la mamma, con l’intenzione di ammazzare anche il padre, che essendo lontano da casa, non è riuscita a raggiungerlo. Davanti alla pagina del quotidiano mi si è scoppiato il cuore.
Anche quella famiglia era più che normale. Ho seguito la ragazza e il padre eroe fino alla laurea in carcere. Non mi so spiegare la potenza dell’emozione che mi ha stravolto. Ma una cosa è vivere per molto tempo una storia e un’altra cosa è sentirtela e rivedertela tutta intera in poche righe. Non so se l’aggettivo “intera” può far capire, ma per me esistono momenti della vita, e io ne ho vissuto più di uno, nei quali il tempo ti si precipita addosso come un ciclone. Ed è alla luce dell’aggettivo “intero” che vorrei fare alcune riflessioni.
La prima: chiedere agli specialisti di negarsi alle interviste, e soprattutto di non stare al gioco delle domande. Spesse volte interviste di questo tipo non servono a niente o meglio servono più ai curiosi che a coloro ai quali sarebbe urgente e necessario arrivassero. Urge scrivere e fare dichiarazioni asciutte, sufficienti solo per interpretare seriamente i fatti e possibilmente utili per offrire speranze, attenzioni particolari e prevenzioni molto attuali.
La seconda che reputo ancora più necessaria e urgente: aprire corsi e dibattiti all’interno delle Forze dell’ordine e dei funzionari proposti ai servizi sociali. Alcuni di noi hanno fatto esperienze molto interessanti e offrirebbero volontieri quanto di meglio sono riusciti a fare. Scriviamo di meno sui giornali e testimoniamo di più tra di noi.
I miei 90 anni vorrei dicessero come è meglio avere a che fare con ragazzi rompi che con ragazzi sempre tranquilli. Ho avuto in Exodus un adolescente che aveva ucciso il padre. Parlava pochissimo. Perfino a pranzo si riempiva la pancia e via così. Me l’ero messo davanti, a tavola. Abbiamo impiegato mesi perché tornasse normale, con la paura che dentro di se, stesse pensando qualcosa di brutto.
È solo un esempio, non un metodo. Ed ora chiudo pensando agli abitanti di Paderno Dugnano. Questi fatti non devono spaventarci, ma aiutarci a fare meglio il nostro “mestiere” di adulti. Scusate se parlo in modo così semplice.
Sono con questi casi da quarant’anni. ho scritto, studiato, meditato, incontrato mezzo mondo, ho fatto molta formazione con i miei educatori. Però mi sto accorgendo che nonostante i casi gravi che ho aiutato e la lunghissima esperienza, i nuovi disagi che stanno arrivando ci obbligano a rivedere con molta umiltà l’intero nostro metodo. Con sette minori in questo periodo estivo abbiamo “inventato” una carovana durata tre mesi. Sono tornati dalla carovana pochi giorni fa e dico che è stata l’intuizione più azzeccata. Alcuni di questi ragazzi erano in terapia psichiatrica. La fatica, l’avventura, la bellezza, il mare, la montagna hanno vinto su tutto.
Don Antonio Mazzi – Famiglia Cristiana n.37