«HO PERSO MIO PADRE A 13 MESI, NELL’ALDILÀ VORREI VEDERE LUI. QUANDO PENSO A DIO HO PIÙ SPERANZA CHE FEDE»

27/12/2024


«Arrivare prima» è sempre stato il motto di Don Antonio Mazzi, un prete irregolare, diverso dagli altri, che ha abbracciato i ragazzi caduti nella tossicodipendenza e li ha aiutati a rialzarsi. Lo abbiamo incontrato nella sua casa con il mulino immersa nel verde di Cascina Molino Torrette dove paure e inadeguatezze sono invitate a restare fuori dal cancello.

«Vedere centinaia di alberi con le siringhe conficcate nei tronchi è stato sconvolgente, non potevo non fare qualcosa». Così nel 1984 ha creato la Fondazione Exodus Onlus all’interno del Parco Lambro di Milano.

Quarant’anni dopo continua a camminare al fianco dei suoi ragazzi. Tutto attorno a lui ricorda le storie di giovani e di famiglie in difficoltà, dai quadri ai libri, dalle dediche alle decorazioni fatte a mano.

Nonostante la fatica e il peso dei suoi 95 anni, compiuti lo scorso 30 novembre, niente è cambiato, neanche le sue abitudini. Legge ancora 5 quotidiani al giorno, scrive articoli e lettere rigorosamente a mano.

Cosa vuol dire per lei vivere così a lungo?

«In questo periodo in cui tutti parlano di longevità oserei dire che faccio fatica a realizzare di aver vissuto così a lungo. Ma una cosa è vivere per tanto tempo e una cosa è vivere di grandi esperienze, ed è soprattutto questo ciò che ho fatto e che più conta per me. Non mi fermo alle due parole del vocabolario: vita e lunga. Guardo piuttosto alla fortuna che ho avuto nel vivere in modo straordinario. Ecco, ci sono due modi per interpretarla e io preferisco farlo in questo modo»

Si reputa una persona saggia?

«Non sempre le persone sagge sono le persone migliori. Cristo è stata una persona saggia perché ha combattuto contro tutti. Ma lo è stato anche Mosè, che ha ucciso delle persone ma per salvare il suo così a lungo. Ma una cosa è vivere per tanto tempo e una cosa è vivere di grandi esperienze, ed è soprattutto questo ciò che ho fatto e che più conta per me. Non mi fermo alle due parole del vocabolario: vita e lunga. Guardo piuttosto alla fortuna che ho avuto nel vivere in modo straordinario. Ecco, ci sono due modi per interpretarla e io preferisco farlo in questo modo»

Si reputa una persona saggia?

«Non sempre le persone sagge sono le persone migliori. Cristo è stata una persona saggia perché ha combattuto contro tutti. Ma lo è stato anche Mosè, che ha ucciso delle persone ma per salvare il suo popolo. Così come Cristoforo Colombo è stato saggio a prendere tre barche e ad andare dall’altra parte del mondo. Se però leggiamo la storia hanno fatto più cose le persone non sagge. Sono arrivato al punto di fregarmene di alcune parole che ora vanno di moda come, ad esempio, “desiderio”. Adesso sembra che, se non hai desideri, non sei normale. A 95 ne ho parecchi e non mi reputo un peccatore».

Qual è allora il suo desiderio più grande?

«Vorrei che i giovani potessero andare a votare a 16 anni, così che l’idea di cos’è la politica possa arrivare prima nelle loro vite. Lo definirei più un sogno e ne sarei veramente felice. Ma so che non succederà…Questi miei desideri sono l’effetto delle molteplici vite che ho vissuto e delle esperienze che ho fatto durante gli anni».

A proposito di esperienze, rifarebbe la stessa scelta di vita se potesse tornare indietro?

«Sono matto (ride; ndr) ma credo proprio di no… Lo dico perché la vita che ho fatto non l’ho costruita ragionando, ma perché per istinto quando mi sono ritrovato all’interno del Parco Lambro, con i giovani devastati dalla droga e dal terrorismo, quello che vedevo proprio non mi piaceva. Credo che, se dovessi rinascere farei tutt’altro ma non perché io abbia sbagliato, ma sono convinto che, se dovessi nascere un’altra volta, troverei altre occasioni per poter vivere bene».

A questo punto ci dica cosa farebbe se ne avesse l’opportunità… «Più che fare il prete farei l’educatore. Questo perché, se io non avessi tentato di fare l’educatore degli altri non mi sarei salvato. Penso che una persona non possa vivere senza aiutare il prossimo e senza conoscere sé stesso, e per conoscersi è importante anche confrontarsi con gli altri. Quando parlo ai miei educatori chiedo loro di non fare gli educatori per educare gli altri, ma di farlo per arrivare a conoscere loro stessi».

Questo suo istinto di aiutare il prossimo l’ha portata a fondare comunità di recupero contro la tossicodipendenza e a festeggiare i 40 anni della Fondazione Exodus Onlus.

«Ripeto: fuori di testa come sono, aiutare il prossimo mi ha aiutato a salvare me stesso. Mi permetteva di allargare le mie idee e di aprire la mente. Non ho fondato le comunità per dare una mano alle persone considerate “sbagliate”, ma l’ho fatto perché la storia me le ha fatte incontrare e sono arrivato alla consapevolezza di essere una ricchezza per loro e loro una ricchezza per me».

Come vive una persona di 95 anni?

«Non glielo so dire, ma sicuramente ne ho passate tante. Sono stato minacciato tre volte, ho rischiato la pelle anche di più, ho avuto tre incidenti stradali mortali. Però ho preso anche 4 Lauree ad Honorem (a Palermo nel 1994, a Lecce nel 1996, a Macerata nel 2004 e a Cassino nel 2015) e collezionato abbastanza tapiri d’oro. Dovrei allargare la cascina per conservare tutti i ricordi di una vita. I miei 95 anni li vivo da uomo fortunato, soprattutto perché sono circondato da persone che, a loro modo, mi fanno sentire vivo. I ragazzi delle comunità per un verso e gli educatori dall’altro. Sentirmi importante e non sempre e solo il vecchio della situazione è il gesto d’affetto più grande che potessi desiderare».

Una sua abitudine che non è mai cambiata?

«Se devo farla ridere o, meglio ancora, far ridere tutti quelli che leggeranno questa intervista, l’abitudine più grande che ho è che sono interista. Quella più seria è leggere tutte le mattine il giornale, anzi cinque al giorno, pagina per pagina. E se non leggo, sembra che mi manchi qualcosa. E poi, ovviamente, la preghiera. Quella è normale per uno come me. Ma al di là dell’essere prete o meno, è la fede che è importante».

Una fede che dura da 95 anni, chi è per lei Dio?

«Sono stato ordinato sacerdote nel 1956, direi quindi parecchi anni fa... Quando penso a Dio più che avere fede ho speranza. Io spero che dall’altra parte ci sia quello in cui credo. Non penso tanto al fatto di poter incontrare Dio, ma a quello di incontrare mio padre, l’uomo che non ho mai conosciuto. Poi se li dovessi incontrare entrambi ancora meglio. Spero che queste cose ci saranno. Ma se ci penso, con la fede e con la testa, non ci arrivo, ce la posso fare solo con la speranza».

Cosa direbbe a suo padre, scomparso quando lei aveva 13 mesi?

«Credo che non sarei capace di parlare. I momenti più grandi dell’amore avvengono in silenzio. Non credo che si facciano parlando».

Dopo la morte cosa crede che ci sia?

«Qualcosa che ci permetta di essere quello che vogliamo veramente. Sarebbe bello che, per come siamo fatti, con tutti i desideri e i sogni, ci possa essere qualcosa, nell’aldilà, che ci permetta di realizzarli».

Le manca qualcosa della sua giovane età?

«Mi è mancato il padre e forse anche la madre. Perché questa donna dovendo fare da padre e da madre non è stata né l’uno né l’altro. Nei primi anni della mia vita ho sofferto molto. Negli anni del liceo sono dovuto stare dai preti e lo odiavo. Per uno come me, poi, che non ama le regole non era certo il massimo. Ma con il tempo mi sono accorto che, in qualche modo, quel periodo mi ha aiutato a capire che si può imparare tanto dalla vita e mi ha permesso di superare le difficolta che mi si sono presentate nel corso degli anni successivi».

Qual è la difficoltà più grande che ha dovuto affrontare?

«Ho vissuto momenti di vero terrore, ma anche di enorme gioia e di grande amicizia. Ho vissuto anche lo spavento di mettere a rischio la mia vita, quando mi volevano vedere morto, ma non ho mai voluto che qualcuno mi difendesse. Ho sempre detto che, se fossi dovuto morire, sarei voluto morire solo io e non anche i poliziotti che erano insieme a me. In quei momenti anche se fingevo di sentirmi un eroe, in realtà provavo una paura bestiale».

Cosa la spaventa del momento in cui la vita finirà?

«Mi spaventa dover soffrire. Il dolore fa sempre paura e non colpisce soltanto la persona che lo prova, ma anche quelle che ti circondano, ed è quello che ti fa fermare a riflettere».

Dall’alto dei suoi 95 anni, cosa direbbe ai giovani di oggi?

«Che ci sono due modi di essere liberi. C’è la libertà che scaccia via le regole e la libertà che le accetta. Io vorrei che i giovani avessero il coraggio di accettare una libertà che racchiuda in sé delle regole minime. Perché solo così riusciranno a vivere bene e ad essere del tutto loro stessi. Perché le regole, anche se possono apparire limitanti, ti educano. E l’educazione è libertà».

Invece, ai ragazzi delle sue comunità che messaggio vorrebbe fare arrivare?

«Nonostante i miei 40 anni di lavoro in questo campo non abbiamo ancora capito nulla. Le droghe sono cambiate radicalmente e di conseguenza anche i metodi. In questo mondo che muta dovremmo pensarci diversi come persone, perché, forse, eravamo migliori quando eravamo poveri e la povertà, a mio avviso, è una ricchezza. Con Educatori Senza Frontiere (ESF) andiamo in giro per il mondo, ma non andiamo a portare il pane, andiamo ad alfabetizzare. I Paesi dove abbiamo le comunità come il Madagascar, l’Angola e la Costa D’Avorio sono stati vergognosamente sfruttati da noi occidentali. Quello è un mondo che, a differenza del nostro, non ha la testa sempre piena di paranoie ma ha il coraggio di salutarti e abbracciarti anche se non ti ha mai visto. Un qualcosa di impensabile alle nostre latitudini…».

Che auguri vuole fare per il 2025 in arrivo?

«Mi auguro che torni la pace perché non possiamo andare avanti così. La guerra di oggi è una guerra diversa dalle altre perché ha coinvolto tutto il mondo. Ed è la conseguenza di quello che abbiamo costruito negli anni. Cosa vorrei che succedesse? Che il Papa, ad esempio, rompesse di più l’anima ai politici e che non si accontentasse del discorso domenicale all’Angelus. Lui ha il potere per fare molto di più».

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di Irene Inzaghi su “7 - Corriere della Sera” – 27/12/2024