Mi piace Exodus perché è un luogo accogliente. Mi capita di passarci ogni tanto, la mattina presto, per rubare un caffè e sincerarmi che don Antonio stia bene. La Cascina al parco Lambro è un'oasi di operosità e di speranza a un passo dal traffico della tangenziale. C'è spesso il sole, quando ci vado, e i ragazzi che vi risiedono hanno sempre l'aria di sapere con precisione quel che c'è da fare. Non sembra un luogo di dolore. Eppure lo è. Nella cappella ci sono, intagliati nel legno, i nomi di quelli che non ce l'hanno fatta. A un certo punto hanno smesso di scriverli perché non ci stavano più. E ogni volta che lo incontro don Antonio porta con sé il ricordo recente di un ragazzo che se n'è andato. Ma nulla che lo fermi, e tantomeno l'età. E' lì (o altrove, in una delle tante case di accoglienza che nel frattempo ha fondato in giro per l'Italia) a preoccuparsi di quelli che sono vivi, dei genitori che non fanno bene il loro mestiere, delle istituzioni che sono sempre più cieche. Ci vado volentieri, a Exodus, anche con i miei bambini. Voglio che respirino l'aria della Cascina, che intuiscano la sofferenza, che capiscano che il lavoro nobilita e salva. Ho l'illusione che in quei pochi minuti, al sole del parco Lambro, intuiscano il mistero d'amore che lì si rivela.
Giorgio Gori