Una speranza di salvezza, qualcosa di affettivamente liberante che dà un senso alla vita e la cambia. La proposta di un incontro, di una relazione vera, di una comunicazione che ti fa uscire da te stesso per impegnarti, per gli altri. Semplicemente, ma anche con tanta professionalità. Mi viene in mente questo, pensando a Exodus, che io ho incontrato come cronista dell' "Avvenire" a metà degli anni ottanta. Mario, Maurizio, Graziella, volti, persone, e storie che non ho più dimenticato. Ex terroristi che grazie all'incontro con don Antonio e alla compagnia di Exodus hanno potuto percorrere quel cammino di reinserimento, riconciliazione, risarcimento sociale, che hanno fortemente voluto dopo essersi dissociati o pentiti della lotta armata. Durante le conversazioni con loro, ho capito che non bisogna mai giudicare e che il male può essere vinto dal bene. Una realtà che dà anche alla giustizia una prospettiva più grande: non ci si ferma alla pena scontata, ma si guarda al recupero della persona, e alla memoria di chi purtroppo non c'è più. Ricordare le tragedie degli anni settanta, in questo caso, vuol dire costruire i rapporti personali basati sulla reciprocità dell'amore e sul farsi "noi" e non "io". Questa è la testimonianza che ho visto.
Piero Felice Damosso